Basketball Journey, la recensione

Un.Dici
6 min readJan 13, 2020

“Il Canada, per la prima volta nella sua storia cestistica, ha strappato agli Stati Uniti il trofeo più prestigioso.
È la chiusura di un cerchio immenso, disegnato più di un secolo fa.
La pallacanestro, lo sport inventato nel 1891 da James Naismith, ha fatto un lungo viaggio attorno alla sfera terrestre e poi è finalmente tornata alle origini.
Lo sa bene Adam Silver, il commissioner NBA secondo a nessuno in quanto a comunicazione. Sul palco, prima di consegnare il Larry O’Brien Trophy alla proprietà dei Raptors, ricorda l’inventore del gioco, canadese. La prima partita NBA del ’46, disputata in territorio canadese.
E ora i campioni NBA 2018–2019, i Toronto Raptors”

Finisce così Basketball Journey, libro edito da Rizzoli e scritto da Alessandro Mamoli e Michele Pettene, da sottotitolo: “un viaggio on the road tra i luoghi e le leggende del basket USA”.
Si tratta di un lavoro che percorre strade distanti dagli itinerari turistici di un qualsiasi avventuriero in terra statunitense, decisamente succulente per gli amanti del Gioco e delle sue storie più iconiche.

Un racconto diaristico che non fa mistero del suo principale intento, quello di tributare tutti gli onori del caso all’uomo che ha inventato la pallacanestro, quel professor Naismith che nel dicembre del 1891 venne letteralmente minacciato dal preside della sua scuola in Massachussets, perché inventasse una attività indoor da far svolgere agli studenti.
Si parte quindi da Springfield — dove il professore di origini canadesi viveva ed insegnava — per giungere a Lawrence, in Kansas, dove riposa in pace ancora oggi.
Nel frattempo, durante le fasi di stesura dell’opera, il titolo NBA si gioca a Toronto, con i Raptors protagonisti di un clamoroso upset ai danni dei favoritissimi Golden State Warriors, ed il cerchio si chiude definitivamente. Come riportato nel passo d’esordio di questa recensione, tra l’altro.

Ma per raccontare veramente il modo in cui un gioco è divenuto il Gioco — il più universalmente praticabile tra gli sport di massa — appassionando generazioni e divenendo ragione di vita per molti, è necessario salire in macchina con i due autori, e perdersi nelle coinvolgenti storie vissute e fedelmente riportate.

Alessandro Mamoli, del resto, è oggi conosciutissima voce di Sky Sport, dopo aver giocato a tutti i livelli (anche con l’Olimpia Milano di D’Antoni) ed aver recentemente prodotto documentari e trasmissioni sullo sport che ha amato da sempre, fin dalla sua prima volta sul campo.
Michele Pettene — il suo partner in crime — è versatilissima penna prestata, tra gli altri, a Esquire Italia, L’Ultimo Uomo, GQ e Sky Italia, oltre ad aver pubblicato il romanzo La morte è certa, la vita no, lavorando anche come consulente aziendale.
Insomma, i presupposti per un viaggio memorabile ci sono tutti, e l’itinerario tracciato è di quelli destinati ad incuriosire chiunque conosca la storia della pallacanestro, ma può affascinare anche coloro che ne ignorano i fondamentali.
Dal Massachussets alla Pennsylvania, passando per Washington ed il North Carolina, con una tappa in Kentucky prima di un profondissimo tuffo nello Stato dell’Indiana, quello in cui il basket è una religione più che uno sport. La chiusura, come già detto, è dedicata a Lawrence e Toronto, città canadese in cui il destino ha portato gli autori alla sopracitata chiusura del cerchio, ma nel frattempo accade di tutto.

Impossibile non incuriosirsi nel racconto di un giovane Kobe Bryant alla Lower Marion High School, oppure rispetto alla riverenza verso Wilt Chamberlain, in una Philadelphia che fatica a ricordarlo come meriterebbe nei palcoscenici calcati.

Stesso discorso rispetto alla ricerca della casa natale di Larry Bird — a French Lick nell’Indiana — oppure nel leggere della delusione del sedicenne Oscar Robertson, che dopo aver portato la Crispus Attucks High School al successo, ammette arreso al padre che l’America “non li vuole”.
Loro, gli afroamericani, ai quali viene impedito di festeggiare nel centro di Indianapolis il trofeo cittadino, a causa delle divisioni razziali che la contraddistinguono. Che il Liceo dei neri festeggi nel suo ghetto.

Ma recensire con cognizione di causa l’enorme quantitativo di interviste, racconti, luoghi e suggestioni che Basketball Journey presenta, è impresa decisamente complicata.
Ben più difficile di quanto mi aspettassi, dopo aver finito di leggere la pagina numero 309, quella che precede ringraziamenti, indici e crediti.
La cronaca in prima persona è coinvolgente, ben raccolta in un volume perfettamente curato sia a livello grafico che fotografico, impreziosito da note che rappresentano spunti per infiniti approfondimenti a riguardo.
Contemporaneamente, all’aumentare delle ore passate insieme a Mamoli e Pettene, si sommano volti e storie soltanto superficialmente incontrate fino ad allora, inevitabilmente destinate a colpire e divertire. Almeno questo è stato il mio caso, ovviamente.

E quindi, se il racconto della pronipote dell’inventore del Gioco — Rachel Naismith, che “scopre” l’importanza del bisnonno dalle parole del suo professore di Educazione Fisica — lascia stupiti, desta meraviglia l’incontro con Bobby Plump e la storia del suo “Last Shot” del Milan Miracle, destinato ad ispirare il film “Hoosiers — Colpo Vincente” (con il conseguente viaggio nella Hoosier Gym, sfondo del famosissimo lungometraggio del 1986 diretto da David Anspaugh).
Così come affascinano le immagini mentali ricavate dall’esperienza alla Goodman League, probabilmente destinata a scomparire a causa della gentrificazione alla quale sono destinati i playground di Barry Farm, nel povero (e nero) District of Columbia a Washington D.C.
Poi c’è tanto tanto College Basketball, sia presente che passato, con l’omaggio a Jim Valvano e Lorenzo Charles (seppelliti vicini, accomunati da un destino ingrato), la sfida tra Kentucky e Louisville, la rivalità tra Duke e North Carolina con la Tobacco Road a fare da sfondo.
Impossibile non citare l’incredibile Silent Night della piccola Taylor University nell’Indiana ( e dove, sennò?): un rituale tra i più pazzeschi mai incontrati, che potete capire solo osservando il video sottostante.

Si, perché durante il viaggio Mamoli e Pettene hanno anche filmato, e poi montato, immagini dirette di ciò che all’interno del libro troverete sviscerato, con tutti i riferimenti storici del caso.
Nel canale Youtube di Alessandro ne esistono ovviamente di altri, gustosissime appendici alle parole riportate in questo Basketball Journey.

Un libro che riesce perfettamente nel suo intento — quello di rendere grazie a James Naismith — dimostrando quanto il basket sia diventato qualcosa di più che un gioco, con storie irripetibili, rivendicazioni sociali, insegnamenti da trarre e tanta, tanta, tanta bellezza.
Difficile non consigliarlo un po’ a tutti, anche a chi adora immaginarsi in viaggio per un paese che “ha costruito da zero la propria storia attraverso lo sportcome dice Michele Pettene nella sua introduzione.
Gli Stati Uniti hanno dovuto elevare lo sport a epica per darsi un’identità riconoscibile, un orgoglio nazionale (…) Non si può raccontare il basket degli Stati Uniti d’America senza raccontare la storia di questa nazione così diversa, contraddittoria, unica. Spettacolare e mortale. Giovane”.

E viceversa, per completare quel cerchio che parte da Springfield e si chiude a Lawrence, tracciando le forme di paese complicato, a volte spietato, sicuramente affascinante come quello sport che lo rappresenta al meglio.
Quello per cui non dobbiamo mai stancarci abbastanza di ripetere “grazie”, indirizzandolo al professor Naismith.

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Un.Dici

Un.Dici è l'universo di Julian Carax, doppio di Davide Torelli, che sarei io. Qualcosa in più qui: https://linktr.ee/davidetorelli